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La storia

Il vino, quale che ne sia il livello, un’emozione la deve trasmettere, sempre.

Scriveva il compianto Gianni Mura che “esistono vini come casette di campagna (io avrei detto di montagna, ndr) con i gerani sul balcone, altri come il duomo di Colonia, vini come messe solenni e vini come balli sull’aia, vini piacioni, realizzati per la seduzione immediata, e altri più riservati, che non si aprono subito, stanno in disparte, come una volta, nei paesi, le ragazze non belle, sedute fin che qualcuno non le invitata a ballare, e al terzo ballo gli arrivava il profumo dei capelli di lei”.

Direte: ma cosa c’entra Mura con la storia di un vino ticinese nato sull’altare di una lunga amicizia, sviluppatasi percorrendo sentieri suoi, tardando però a consumare il matrimonio tra il legno (il castagno di Stefano) e il vino (prodotto nelle vigne del Giorgio)?

C’entra che in questo suo raccontare Mura ci trasmette una vena romantica, che è un po’ quella che ho scoperto io ascoltando le parole di Giorgio e Stefano, legati da una grande amicizia e dall’amore comune verso il nostro territorio, dal desiderio di valorizzarne le peculiarità, svelando al profano aspetti sorprendenti.

Stefano Jorio e Giorgio Rossi sono amici dai tempi della scuola reclute.

Mi piace pensare che questo sodalizio sia nato durante una di quelle marce interminabili che consumano le scarpe, l’energia e la predisposizione al sacrificio dei soldati. Il sacco pesante, la fatica che rende il passo disagevole, qualche giaculatoria tirata giù per scacciare la tensione. Camminano uno accanto all’altro, si fanno coraggio. E parlano. Dei loro sogni di ragazzi, della morosa a casa, delle loro passioni. Scoprono così di avere tante cose in comune, soprattutto l’interesse di valorizzare le risorse che troviamo appena varcato l’uscio di casa. Perché il bello e il buono non è necessario andare a scoprirli dall’altra parte del mondo e loro lo sanno. Si portano dentro la sensibilità che li abilita a vedere cose che non tutti vedono, capiscono che su questa parte del globo, valorizzando quello che la natura ci ha dato, si può campare e costruirsi un futuro.

Quell’amicizia nata lì e consolidatasi negli anni ne ha fatta di strada, ma non è mai sfociata in un progetto di lavoro comune che fosse legato al vino, a parte quell’avventura che li ha visti costruire una cantina come quelle che si facevano un tempo, col soffitto a volta, le pietre incastonate una accanto all’altra.

E al momento del disarmo… speriamo che tenga, soprattutto per l’Andrea che s’è visto quasi sventrare la casa. Non c’è nessuna relazione più naturale di quella tra una botte di castagno e un vino prodotto sulle colline del Ticino: parliamo di territorio, di elementi che si guardano, convivono, dialogano, sanno di possedere un’identità comune. Un po’ come quella che accomuna Stefano e Giorgio, che annusano la territorialità, assaggiano la terra sulla quale mettono i piedi e sanno valorizzare i suoi prodotti.

Il castagno è stato l’albero del pane, ha contribuito a sfamare generazioni, ha fornito alla vigna i pali che la sostengono, è, come la pietra e come il vigneto, elemento che marca il nostro Cantone.

Questo vino che nasce adesso ce ne ha messo di tempo per maturare. Non nelle botti, ma nella mente di due amici che vantano lunghe frequentazioni. Ecco, in un certo senso, anche questo è un vino riservato come quello descritto da Gianni Mura, che ha atteso a lungo ed è rimasto in disparte prima di permettersi il primo giro di danza. La fretta è spesso cattiva consigliera, mica l’ha ordinato il dottore che il legno di castagno lavorato da Stefano dovesse incantare immediatamente Giorgio, ma era inevitabile che finisse così. E come in tutte le favole che si rispettano, dopo questa bella esperienza i due amici vissero per sempre felici e contenti.

Tarcisio Bullo 2023

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